Caro direttore, …

Giovanni Contini | 24 novembre 2003

Caro direttore,
nelle scorse settimane su queste pagine si lamentava l’anonimato delle nostre periferie e la necessità di salvaguardare l’esistente patrimonio edilizio. Vengono a galla le solite domande. Perché e che fare? Un anno fa visitai la mostra internazionale di architettura di Venezia. Al Lido ogni nazione aveva a disposizione uno stand per esporre le proprie opere: balzava all’occhio la sostanziale differenza tra il nostro spazio espositivo e quello di altre nazioni europee. Nello stand italiano erano esposti molti bei progetti, ben rappresentati, commentati con scritte fitte fitte, mentre altri stand esponevano pochi disegni corredati però da molte fotografie delle opere realizzate. Ecco forse è questo uno dei problemi: il sistema Italia ha sempre privilegiato la capacità di ideare a scapito della capacità di realizzare. Ha spesso considerato il progetto un fine anziché un mezzo. Gli architetti non solo progettano ma anche valutano i costi, dirigono i lavori, redigono la contabilità, discutono le riserve dell’impresa, collaudano le opere. Perché allora si organizzano molte mostre solo su una parte del lavoro dell’architetto, i progetti, e poche mostre sulla restante parte cioè sulle opere realizzate? E’ quasi inimmaginabile un concorso per premiare, che ne so, la miglior palestra realizzata con un milione di euro, la migliore lottizzazione ultimata negli ultimi tre anni nel lodigiano, la casa più bella realizzata con mille euro al metro quadro o ancora l’edificio che dopo dieci anni ha richiesto minori manutenzioni, la scuola più funzionale e in regola con tutte le norme di sicurezza. Inoltre sarebbe giusto mettere in mostra e dar merito non solo all’operato dei tecnici ma anche a quello dei committenti e delle imprese cioè di tutti i protagonisti delle belle e delle brutte realizzazioni. Ed è importante che i committenti si rendano sempre più conto che gli architetti possono dare qualcosa in più del solo progetto necessario per ottenere le autorizzazioni per costruire. Occorre però affrontare un altro punto debole del sistema Italia. L’eccesso di normativa tecnica. Penso che la burocrazia sia una delle principali cause dell’impoverimento dell’architettura in Italia. L’epidemia di norme, regolamenti, divieti e deroghe ha prodotto -passate la battuta – l’architetto “ogm geneticamente modificato”. L’architetto, che un tempo era un po’ tecnico e un po’ artista, si è oggi trasformato nell’architetto-ragioniere o nell’architetto-avvocato costretto a contabilizzare indici e percentuali di edificabilità, mago nello sfruttamento di tutte le potenzialità del lotto grazie alla sua elevata conoscenza di leggi e regolamenti. E’ inutile nasconderci dietro un dito: spesso il committente non sceglie l’architetto in funzione della sua capacità progettuale bensì della sua capacità di districarsi nei meandri della burocrazia. I progettisti impegnano più tempo nei convegni burocratico/legali che in quelli di architettura vera e propria. La buona architettura non si realizza certo con divieti, con complessi regolamenti e centomila autorizzazioni bensì con la competizione tra i progettisti che si assumono la piena responsabilità di quel che fanno, come avviene all’estero. Poche regole, chiare, applicabili ed applicate. In questa direzione sta andando la nuova regolamentazione edilizia del comune di Milano. I regolamenti edilizi di altri comuni partono dal presupposto che tutto è vietato salvo quello che è permesso, a Milano ora è il contrario: tutto è permesso salvo quello che è vietato. Non è un gioco di parole, è un cambio di mentalità, si va nella direzione della responsabilizzazione del progettista e del committente. Anche in questo caso, come per l’autocertificazione, l’ente pubblico incomincia a fidarsi del cittadino. Ci sono certo molte difficoltà, le segnalano sia i funzionari pubblici che i professionisti, ma un cambio di mentalità non è mai facile: pensiamo solo a quanti anni sono occorsi per rendere operativa l’autocertificazione! Ma si va in questa direzione e la denuncia di inizio attività per il comune e per i vigili del fuoco ne sono un esempio. Gli Ordini professionali hanno un importante ruolo in questo passaggio: devono garantire alla comunità la preparazione, l’aggiornamento, l’etica e la correttezza professionale dei propri iscritti, i tecnici che devono essere preparati a “autocertificare” i progetti. Il futuro degli Ordini professionali è legato proprio alla loro capacità di garantire efficacemente la qualità professionale dei tecnici. In caso contrario, la funzione di garante sociale sarà presa, come succede in altre nazioni, da altri organismi o dalle compagnie di assicurazione.

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